Questa volta, l'argomento è stata la tossicodipendenza e a parlare con noi sono stati due ragazzi che hanno vissuto l'esperienza della droga. Uno in modo diretto, l'altro come familiare di una vittima della droga.
Per tutelare la loro privacy, li chiameremo con nomi fittizi: Luca il ragazzo che ha sperimentato su di sé l'esperienza della droga e Filippo quello ha vissuto indirettamente l'esperienza . Mi pare un atto dovuto, per chi non ha avuto remore a raccontare la propria vita e che, ora che si è riabilitato nel lavoro e nella società, vuole tutelare quello che ha (ri)costruito. Per lo stesso motivo, non pubblico foto dell'incontro.
L'incontro è durato quasi due ore ed è stato condotto per la maggior parte da Luca che ha raccontato quando, in realtà già abbastanza maturo (21 anni) ha iniziato l'infelice avventura nel tunnel della droga: un inizio così, quasi per scherzo, per emulazione, per condivisione o condizionamento. Dice più volte che non gli mancava nulla in particolare, anche se forse in casa il clima non era dei migliori. Racconta quindi delle volte che è stato veramente male, degli amici che non ce l'hanno fatta, della sua vita di strada; racconta, però, anche della sua instancabile voglia di vivere e di quanto lo sport gli sia servito per uscirne fuori
.
Racconta e interagisce coi ragazzi che chiedono, domandano, vogliono sapere:
-"A che età hai iniziato?"
-" Che fine ha fatto quel tuo amico?"
-"I tuoi genitori quando se ne sono accorti?"
-"Come ne sei uscito?"
-"Hai problemi fisici oggi?"
Luca non si sottrae e risponde alle domande in modo esplicito, senza riserva alcuna, perché "si faccia tesoro degli errori", ripete più volte.
Intenso e toccante è stato il breve intervento di Filippo, che ha visto il fratello distruggersi per eroina: la sua commozione e le sue lacrime hanno raggelato tutti in sala e sono valse più di mille parole di educatori e insegnanti. La tragedia della droga dalla viva voce di chi non ha potuto far altro che assistere allo stillicidio...I ragazzi hanno percepito il dolore e lo hanno sostenuto con un sentito e caldo applauso.
-------------------
In attesa delle riflessioni dei ragazzi, scrivo di getto alcune mie:
- Parlare della droga non è affatto facile, perché la realtà di cui si parla è dura, crudele, senza mezze misure, una realtà che abbrutisce. E da insegnante si ha paura che i ragazzi possano non essere pronti. Oggi ho avuto conferma che spesso le paure di noi adulti sono eccessive e castranti per i ragazzi, molto più "grandi" di quello che appaiono ai nostri occhi: l'inconscio istinto di preservarli dalla crudezza di certa realtà non li favorisce, tutt'altro, li rende disorientati più di quanto questa società frammentata non faccia. Durante le due ore di dibattito, durante il quale Luca non ha affatto sorvolato sugli aspetti più drammatici della sua esperienza, i ragazzi sono stati attenti, quasi ipnotizzati: ascoltavano, commentavano tra di loro, tornavano ad ascoltare ed infine chiedevano di saperne di più. Dalle domande e dall'interesse (60 adolescenti in un'unica stanza, in silenzio a 5a e 6a ora per 2 ore di fila), penso che i ragazzi abbiamo apprezzato molto l'incontro. Sono felice di vedere che i ragazzi hanno molta meno paura della vita di noi adulti.
- Luca ce l'ha fatta da solo: non è stato in comunità, anche se ha avuto attorno persone esterne che lo hanno sostenuto. Ma in realtà Luca non era solo: c'era lo sport con lui. Lo ha ripetuto tantissime volte. Sia prima che durante la tossicodipendenza, non ha mai mollato gli allenamenti di arti marziali o di palestra, anche se, ovviamente, le prestazioni erano calate di molto: lo sport lo ha sostenuto, lo ha tenuto attaccato alla vita, non gli ha permesso mai di toccare veramente il fondo, perché l'allenamento gli ricordava che ERA UNA PERSONA. Ecco cosa ha permesso a Luca di uscire dalla droga: IL RISPETTO PER SE STESSO COME PERSONA. Luca oggi ci ha insegnato che per prevenire e uscire dal disagio OCCORRE RISPETTARE SE STESSI E LA PROPRIA VITA. Il disagio si cura con il rispetto e l'amore, quale sia e quanto grande sia.
- L'esperienza poi di Filippo, invece, ha fatto riflettere su quanto la vita di ognuno non sia "un qualcosa di privato e personale", ma sia un bene collettivo: dire "la vita è mia e ne faccio quello che voglio" è un atto di grande egoismo, visto che attorno a ciascuno di noi ci sono una serie di affetti sui quali possono ricadere le nostre scelte sbagliate. La vita è nostra nella misura in cui ne godiamo rispettando chi ci sta attorno e ci vuole bene. Le lacrime di Filippo per il fratello dicono questo: un ragazzo si è lasciato morire, lasciando un peso immenso in chi gli è stato a fianco. NON DROGARSI VUOL DIRE ANCHE RISPETTARE GLI ALTRI.
Ringrazio tantissimo Luca e Filippo, per quello che oggi ci hanno raccontato e fatto riflettere; ringrazio la Prof.ssa Marisa Tola, senza la quale oggi non avremmo avuto la possibilità di avere questo incontro. Da ultimo ringrazio i ragazzi per aver partecipato e interagito senza barriere, sicura che questo semino gettato oggi...fiorirà prima o poi.
Grazie.
1 commento:
Commovente Cristina...molto.. per motivi personali mi ha toccato nel profondo..e grazie per avere avuto l'iniziativa di affrontare con i ragazzi questo problema oggi quasi sommerso perchè nessuno più lo tiene in considerazione ..eppure c'è e colpisce ancora ..generando paura ..perchè c'è d'averne paura seriamente ..è facile entrarci ma è difficilissimo uscirne ..è un tunnel di dolore per chi lo vive direttamente e sia per chi lo vive indirettamente...i ragazzi te ne saranno grati ....un caro abbraccio e tanti complimenti a tutti : a te ai ragazzi e ai protagonisti di queste esperienze
elisa
Posta un commento